giovedì 2 aprile 2009


Pierino Gallo, Geometrie dell’inganno, Aljon Editrice, 2008, 62 pp, Euro 11.

1. Dell’uomo e del poeta ovvero l’erranza e l’assenza; non solo nel senso dell’ingannare-ingannarsi ma soprattutto del vagare, del camminare e del “non esserci”. E’ il richiamo di Pierino Gallo in questa sua nuova opera. Il titolo “Geometrie dell’inganno” è l’ottica distintiva da cui si osserva quella condizione dell’umana presenza, vittima della negatività disarmante delle stereotipie e delle forme sociali consolidate. Solo ad una prima lettura il poeta sembra cedere all’abbandono, soccombere all’estreme polarità: la resa alle antiche dicotomie luce/ombra, presenza/assenza, grigiore/colore, gioia/ dolore che accompagnano l’Attesa.
I soavi licor e i succhi amari, emblematico prestito dal grande Tasso, utilizzato nel sottotitolo, ne indicano il percorso a cui il lettore andrà incontro. Ma è solo in apparenza così. E’ una impressione. Nella costruzione e nello sviluppo del testo, semmai, mostra che il poeta non si lascerà trascinare dal tempo/evento e dalle costellazioni del dolore. Al contrario, sarà capace - da abile regista del proprio stato - di gestire con consapevolezza ogni passaggio, ogni contesto, qualsiasi consuetudine. Dunque, per consegnare ( e anche per consumare tutto questo), Gallo accede ad un corpus lessicale di forte impatto: le maschere, la beffa, l’enigma.
Ad esso associa personaggi che, per figura e azione, hanno rappresentato metaforicamente, nella storia della letteratura universale e nell’immaginario, le inibizioni che destrutturano il vissuto. Il Ciarlatano, il Bugiardo, l’Omertoso, il Buffone, l’Avaro, l’Adulatore, Arlecchino condensano l’idea di intralcio, di ostacolo. Sono perennemente in scena e fanno scrivere bei versi alle spalle del mondo.
In questo itinerario poetico, Pierino Gallo affida ad ognuno di loro, per esplicitazione di significato, un ruolo: ne segnala il conflitto, il comportamento, la problematica sofferta.
Attraverso una sottile tecnica di avvicinamento, li riporta in superficie volontariamente ( come si dice “far venire allo scoperto”) per capirne il senso, l’intenzione e neutralizzarli:… e la maschera…e lo scacco che ti giocò il tormento del continuo ingannare..(pag. 39-Arlecchino).
La nostra esistenza pubblica, nell’immenso teatro della vita quotidiana, è popolata di queste pluralità. “Odio ridere beffardo delle maschere/ Odio ridere beffardo dell’istrione …ricordano i timidi sberleffi di un bambino”. Maschere e poi beffe spingono a negare se stessi per un Altro-essere che non c’è, che non ha alcuna destinazione e che non è nemmeno la nostra proiezione. Dunque, l’enigmatico, che si impadronisce di ogni passo o movimento della nostra scena, è causa di erranze e assenze. Significativi i versi di pag. 32: “ La poesia delle maschere/ ha questo d’incanto: fa scrivere versi,/non sapendo di farlo./ Capovolgimento/ di falso e natura,/di vita e artificio”. Ricordano tanto le intricate storie dei personaggi pirandelliani e la stessa ricerca di “Geometrie”, secondo il mio parere, si muove su questa linea di scandaglio.

2. La dissoluzione della propria individualità e l’allegoria del tempo (o dei tempi) danno la misura dell’inganno, la cui capacità plurale fa naufragare qualsiasi progetto e lo sovraespongono alla sofferenza e all’incertezza. L’inganno rovina lo sforzo di ri-ordinare la propria vita. Gli inganni turbano ogni relazionalità, la dimensione delle proprie emozioni, del pianeta sentimento e impediscono di raggiungere mete e affermazioni.
Il “piano geometrico degli inganni”, a cui si riferisce il nostro poeta, è un sistema chiuso. La perfezione si dispone come calcolo per equilibri irremovibili, un sistema chiuso che crea materia e condizione per complicanze del ragionare e pre-giudica, qui, la ripresa nell’assenza.
Scrive Gallo a pag. 42: “I mocassini sulle scale reclamano memorie … aeroplano di carta all’ombra…meglio fingersi impavidi che cucirsi le ali mosse convulse che investono l’oracolo del sommo inganno”. Illusioni e simulazioni non aiutano. Tuttavia né coraggio né spettri sapranno coprire il vuoto lasciato (vedi anche il rimando a E.A. Poe, a Eiros e Charmion, Monos e Una). Anche in situazione favorevoli, “l’urne dei poeti, in pieno giorno, vivono degli avanzi della sera”, a dire di quel che resta. Solitario e ramingo va il poeta e l’anello dell’erranza è concepito come catena o come muro di un labirinto o considerato alla pari di un varco che, viceversa, facilita e non ferma il “viandare circolare”, il ritornare sulla medesima posizione più che verso l’Altrove. L’anello dell’erranza è un maledetto sigillo che ne identifica la condizione e complica la tendenza a liberarsi dalla tela geometrica rifondante nuovi inganni.
E c’è sempre un muro associato all’assenza, che richiamano vicendevolmente (“rugosi/ i calcinacci/ sul muro/ ricordano della tua/ mesta assenza”).
Uno specchio, forse un punto fermo o una via d’uscita. Strane forme sul muro tracciano la consapevolezza dell’ALTROVE ma se quella creatura sul muro è frutto delle visioni, ecco riapparire l’enigma, ritorna la paura dell’inganno con… il profilo dell’uomo che si assottiglia (pag. 27). Felice scelta, intreccio efficace per preparare un nuovo avvento. Sebbene qualcuno abbia chiuso gli occhi in fondo al molo, è il sole che nei porti della continua assenza dislega inafferrabili matasse. Sul frammento, però, si ricostruisce. La via maestra non dava scampo al ciglio del burrone, ogni singolo pensiero reclama ali, angeliche, remote.
Panegirico degli anni, fili dell’altalena oltre le ombre, sentieri snelli al ragno tra le fronde.
Si fa strada il bambino che sulla pietra più bella scriveva i nomi dell’infanzia , l’urlo della cicala che rimette in marcia, lavorìo di forme su strale consunto e rinato.
La ricerca di senso diventa ricerca di se stesso. In questa parte del libro, l’autore, propone un altro blocco lessicale, in positivo: il viandante e l’estrema scelta di restare per sempre bambino, (pag. 26), il cappello scucito del poeta, per diverse esistenze lontano dagli uomini che infine ricorderà d’essere nel mondo (pag. 28), il suono della voce, della pioggia. Tutte svolte semantiche come l’attesa …ora avanza il mio ardito aspettare…narrerò alla mia voce il segreto rumore dell’eterno, (pag. 37)…le corde del liuto suono, nell’ombra le modello dal cuore l’altrove…(pag. 29). Questo è il momento in cui Gallo compie lo sforzo di richiamare nel proprio percorso, (quasi a reclamare soccorso, sostegno, assistenza), testimoni-tutori della grande poesia e arte mondiale attraverso le individuali esperienze: De Chirico-Klimt, Neruda, Montale, Poe, Verlaine e lo stesso Tasso. Le prove affrontate chiedono di andare, non importa dove o se hanno il sapore della confusione. Non importa se ricordano il continuo vagare tra Amore e Morte. L’importante è andarsene, afferma Gallo, riconoscere all’alba il bagliore nascente e andare avanti, così come si è arrivati. “Nessuno si accorge che è più facile amare piuttosto che vivere appena”. Ebbene, la scoperta dell’Amore, così potente e così semplice che libera e sconvolge.

3. Con questo libro, Pierino Gallo arricchisce la sua scrittura poetica, dimostra straordinaria competenza e personalizza un modello stilistico. L’approccio del lettore spesso non è facile in virtù dell’intensità del codice scelto e della polisemia dell’impianto espressivo. Ne ammiro la serietà della proposta letteraria. Il verso è fortemente radicalizzato, interiorizzato, mediato, curato, filtrato. Ogni parola è passata al setaccio. Il lessico è più ricercato e nuovo (sull’esempio di Montale). Geometrie è un decisivo passo in avanti nell’uso dello strumento linguistico espressivo nell’elaborazione letteraria, nulla è a caso o affidato alla spontaneità dell’ispirazione lirica. Apre e chiude diverse liriche con lo stesso tenore, con la stessa chiave d’avvio. Vi sono testi altamente lirici: “Inafferrabili matasse” (pag. 13)… “ Ti troverò. nascosta tra le brame dell’autunno” (pag. 23)…” Nella bocca dei falchi” (pag. 49)…”E’ rimasto l’odore del vento”(pag.55)…”Portami il girasole” (pag. 59).
E’ la poesia dei poeti, quella che fa bene al cuore e alla letteratura. Quella che si affida a noi come voce della pioggia, che scaturisce per natura e cultura (interessante in questo senso il riferimento al popolo indiano Navajo). In una bellissima e toccante lirica, Gallo ci ricorda che “Nel rumore /di ghiaccio/che sveglia /la terra,/fustigante/bellezza/del vano/sillabare” nasce il volo dell’intrepida poesia, come nel gioco delle raganelle. A conclusione dell’opera, per sottolineare questo meraviglioso rapporto Vita/ Poesia, Gallo ritorna a Eugenio Montale e al famoso componimento Portami il girasole ch’io lo trapianti. Il fiore giallo montaliano quale emblema, testimonianza o passaggio di percorsi. Scrive ancora: “Portami il girasole/ che all’Inferno conduce”. Aggiungo: ma solo per capirlo, …anzi con marmorea volontà di capirlo, per cercare la salvezza (la pasoliniana salvezza, riferita ne’ Le ceneri di Gramsci) per un altrove irraggiungibile a qualsiasi geometrico inganno.
Piero De Vita

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