lunedì 12 ottobre 2009


Antonio Castronuovo, La vedova allegra. Storia della ghigliottina, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo, 2009, 248 pp., 14 euro.

«Il guerriero tacque, e vidi un vecchio avanzare in mezzo alla folla, arrivato ai pali di sangue, il vecchio si tolse l’abito, si mise in ginocchio e pregò. Mise un piede saldo sul primo piolo della scala, e, mentre saliva di gradino in gradino, sembrava innalzarsi verso il cielo. I capelli bianchi gli ondeggiavano sul collo rugoso e abbronzato; il vecchio petto messo a nudo respirava tranquillamente sotto la tunica dischiusa: lanciò un ultimo sguardo sulla Francia e la morte lo legò in alto come un fascio di grano mietuto». Così François-René de Chateaubriand, testimone dell’onda rivoluzionaria e del fatidico Terrore, proietta nell’epopea indiana de I natchez le tappe cadenzate di un macabro rito. La pubblica esecuzione sulla forca di un vecchio religioso sotto i “fasti” del Re Sole si fa richiamo a ritroso di una pratica moderna: la decapitazione col suo efficientissimo strumento, la ghigliottina. Lo spazio di un paragrafo d’arte letteraria – dove a prendere la parola e a “far vedere” è un Indiano d’America – dischiude allora un più tragico scenario: in qualsiasi tempo, sotto diverse spoglie (monarchiche o popolari), la malvagità umana ha progettato i suoi mortiferi alambicchi.
Nell’intento di seguirne le tracce, l’importantissimo studio documentario di Antonio Castronuovo, La vedova allegra, edito da Stampa Alternativa, arricchisce e sgomenta. La scoppiettante immagine di copertina ci introduce al viaggio nel testo: un caricaturale Robespierre si prepara a far piovere la lama della «dolce amante» (sempre lei, l’ascia del popolo) sul collo regale di un tramortito Luigi XVI. E, le pagine dei libri lo confermano, la testa del Borbone sarebbe rotolata: Place de la Concorde, Parigi, 21 gennaio 1793.
Ciò che è singolare, tuttavia, è la genesi dell’attrezzo. Castronuovo lo sottolinea a più riprese e chi si è già accinto a interpretare il volume non ha mancato di farvi riferimento: «la vedova allegra» ha natali democratici! Nell’autunno del 1789, pochi mesi dopo la presa della Bastiglia, il dottor Joseph-Ignace Guillotin proclamava dinanzi l’Assemblea Nazionale una legge in grado di arginare l’arbitrio della giustizia: parità tra crimine e pena, indipendentemente dal ceto sociale dell’accusato. Da vero amante del prossimo, si prodigava inoltre a fornire al paese un arnese che mettesse fine ai giorni del condannato con indolore rapidità. La costruzione della macchina da guerra doveva poi caricare la mietitrice di vittime di quel blasone infernale che mai smetterà di seguirla.
Solcando con l’occhio i capoversi dei diciannove capitoli che costruiscono il saggio – non senza aver gustato prima un’introduzione dall’eloquente titolo (“Tanto per sbirciare nell’orribile segreto”) – si sarebbe tentati di esclamare: “Ah, controversa cultura dei Lumi!”, o di scandagliare sbigottiti il vero senso della triade patriottica (“liberté, égalité, fraternité”). Dopo un collaudo a base di “pecore” e “cadaveri”, il pasto di fa ben più succulento per la “novella signora del Terrore”; banchetto d’apertura a suon di carne viva: «Si giunse al grande giorno, quando il collo del ladruncolo [un certo Nicolas-Jacques Pelletier] poté funzionare da cavia per la nuova macchina, finalmente inaugurata il 25 aprile 1792» (p. 107). E da lì, ingrasso generale. Quanto meno, abbuffata varia ed equilibrata: da intellettuali e dottori ad avvocati e notai, da borseggiatori senza scrupoli a nobili e persino sovrani. Fino a realizzare il più felice pegno della Storia, quello per cui chi agisce a sua volta subisce: Robespierre dà la sua testa alla “vedova allegra” il 28 luglio 1794.
E il catalogo non doveva terminare lì; la Francia repubblicana avrebbe continuato ad adornare le sue piazze di ghigliottine fino al 1977. Impensabile, forse, nel secolo della scienza e del progresso, ma ampiamente concepibile in quello del fanatismo e del potere. Senza esigenza di glosse, il passaggio qui di seguito (p. 5): «Tra le tante cose che scrisse, Lacenaire [omicida prigioniero della Conciergerie - 1835] gettò su un pezzo di carta una manciata di versi, nei quali salutava la macchina che di lì a poco lo avrebbe abbracciato e giustiziato:
Salute a te, mia bella fidanzata,
tra le cui braccia mi devo ora abbandonare!
A te il mio ultimo pensiero,
io fui tuo fin dalla culla!
Salute, o ghigliottina, sublime espiazione,
che sottrai l’uomo all’uomo, e lo redimi dal crimine,
in seno al nulla, mia speranza e mia fede!»

Pierino Gallo