venerdì 15 agosto 2008



Pierino Gallo, Pasolini tra Pascoli e Baudelaire. Intertestualità e influenze ne "Le ceneri di Gramsci", Il Coscile, 2008, 81 pp, Euro 10.

“ I confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazione interna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di rimandi ad altri libri, ad altri testi, ad altre frasi: il nodo del reticolo. E questo meccanismo di rimandi non è omologo, a seconda che si tratti di un commento di testi, di un racconto storico, di un episodio di un ciclo romanzesco; l’unità del libro, anche intesa come fascio di rapporti, non può essere considerata come identica nei vari casi. È inutile che il libro si dia come un oggetto che si ha sottomano; e inutile che si rannicchi in quel piccolo parallelepipedo che lo racchiude: la sua unità è relativa e variabile. Perde la sua evidenza appena lo si interroga; incomincia ad indicarsi e a costruirsi soltanto a partire da un campo complesso del discorso.”
Così Michel Foucault in quel bellissimo libro che è L’archeologia del sapere tenta spingendosi un poco più avanti, come per un nuovo giro di spirale di “far apparire , nella sua specificità il livello delle “cose dette”; la loro condizione di apparizione, le forme del loro accumulo e della loro concatenazione e le discontinuità che le scandiscono.”
Mi è sembrato utile partire da Foucault per tentare di tracciare questa mia breve testimonianza, su quest’opera di Pierino Gallo; Pasolini tra Pascoli e Baudelaire – Intertestualità e influenze ne “Le cenere di Gramsci”, edito recentemente dall’Editrice Il Coscile perchè la trama oscura di un’opera spesse volte è inviolabile e i tentativi, a volte anche maldestri, dello svelamento imboccano, più che la via principale che attraversa l’opera, viottoli, diramazioni, sentieri che pur non allontanandosi dall’opera, contribuiscono, in questo stato d’assedio interpretativo di cui sono vittima i nostri grandi autori del 900, non dico a creare confusione, ma sicuramente ad allontanarci dalla genesi dell’opera , che spesse volte è sconosciuta anche all’autore.
Partendo da questo mi pare assai coraggioso questo debutto nel campo della saggistica di Pierino Gallo perché rivela di non aver nessun timore nel momento in cui decide, per esempio, nel terzo capitolo intitolato “ Poetiche escursioni dalle “Ceneri” a Les Fleurs du mal” di affrontare una tematica che cerca una chiave interpretativa tra i versi di Baudelaire e quelli di Pasolini, dove veramente esigui sono i contributi critici a riguardo.
Coraggio, certo.
Ma soprattutto consapevolezza non tanto dei propri mezzi – Pierino Gallo è troppo giovane ed ha il dono raro, in questo ambiente, dell’umiltà
per osare così tanto- ; ma consapevolezza di una passione che lo sovrasta: la passione per la Letteratura.
Certezza di non potersi sottrarre a questo richiamo.
Proiezione di una volontà edificata su scelte che necessariamente debbono caratterizzare un percorso già iniziato, e per forza di cose alimentato da questa fiamma interna impossibile da spegnere.
Per ritornare al libro - che mi sembra abbia già una forza di struttura supportata di una precisione e intensità di scrittura, e questo di per sé, a mio avviso può già predisporre l’autore verso giuste ambizioni, mi soffermerei ancora un po’ sul “maledettismo” poetico sottolineato da Gallo in questo raffronto tra i versi baudelairiani e i versi pasoliniani.
Dice Agamben che “ il male è unicamente la nostra inadeguata reazione di fronte a questo elemento demonico, il nostro ritrarci davanti a lui per esercitare – fondandoci in questa fuga – un qualche potere di essere. Solo in questo senso secondario l’impotenza o potenza di non essere è la radice del male. Fuggendo davanti alla nostra stessa impotenza, ovvero cercando di servirci di essa come di un’arma, costruiamo il maligno potere con il quale opprimiamo coloro che ci mostrano la loro debolezza; e mancando alla nostra intima possibilità di non essere, decadiamo da ciò che soltanto rende possibile l’amore.”
Forse Pasolini e Baudelaire battendo questa regione oscura, pur combattendola, non sono riusciti a rimanere immuni alle varie sfaccettature della sua seduzione.
D’altronde Zolla ci avverte che l’inconscio è la regione non battuta dove gli opposti, piacere e pena, appaiono simmetrici.
Scrive Pierino Gallo a pag. 42:
“Dalla Parigi di Baudelaire alla Roma di Pasolini si snodano vicende e si raccontano vite che, pur mutando la compagine politica, restano ancorate ad un unico dilemma: quello tra le pulsioni materiali e il desiderio di elevarsi.”

E prosegue a pag. 43:
“Sono i gradini più bassi della gerarchia sociale a diventare protagonisti del viaggio baudelairiano e pasoliniano. Un viaggio che si serve di scene reali, di un erotismo putrido e disperato, da una passione impura, da emarginati.”
Il coinvolgimento dei poeti è totale.
Inevitabili i risvolti drammatici che conosciamo.

La prima parte del libro di Pierino Gallo è dedicato invece all’influenza importantissima che Pascoli ha avuto su Pasolini.
Anche questa analisi è puntuale e ben espressa.



Bonifacio Vincenzi






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