sabato 25 ottobre 2008



Anna Maria Farabbi, La luce esatta dentro il viaggio, pp.19, Aljon Editrice, 2008.

(copertina di rame, a tiratura limitata, in cinquanta esemplari, numerati e firmati dall’artista Francesca Rizzuto che ha realizzato a mano sia la copertina che la legatura di ogni singolo libretto. La stampa, in caratteri Garamond, è invece su Carta Tintoretto da 350 grammi delle cartiere Fedrigoni .)

C’è un qualcosa che ci accompagna senza posa, nel quotidiano deambulare di sguardi, nel variegato riconoscere sensazioni… un qualcosa di inafferrabile, quasi un alito di vento che, nella sua infaticabile corsa, apre a nuovi stimoli sensoriali il nostro corpo. E non è difficile riconoscerne il passaggio, tanto profondi s’impongono i solchi sulle nostre vite.
Ebbene, è l’agire primordiale del logos, la sua spontaneità rituale che assume la forma del verso e si fa vita esso stesso, mettendoci in contatto. Ma è altresì l’estremo bisogno di trasmettere il verbo, la necessità di incidere, di intraprendere un sacrificio materiale che ne concretizzi la natura fugace per poi eternizzarla.
Ci riescono bene, ad eternizzare, Anna Maria Farabbi e Francesca Rizzuto, artefici del prezioso volume La luce esatta dentro il viaggio. Entrambe, colte nel segreto demiurgico del “Fare”: la prima tra gli strumenti semiotici della parola poetica; la seconda tra gli imprescindibili appigli della materia informe.
È come attraversare un mondo, direbbero i lettori, un mondo dove la dimensione metafisica del “non-ancora creato” diventa viaggio verso la realtà degli occhi, della bocca, dell’orecchio. Perché “Il Roseto di Kisgas” (titolo della collana a cui appartiene il volume) nasce proprio con questa esigenza. Così che, il totale coinvolgimento dei sensi passa magistralmente dalla fissità grafica dei tasselli poetici alla sapienza arcaica del lavoro manuale, di quel “rituale di costruzione” che la Rizzuto dimostra di possedere appieno, talvolta smussando il rame della copertina, talaltra forgiando gli anelli che rilegano le pagine.
L’occhio, dunque, non si accontenta di godere delle occasioni testuali più palesi (un viaggio in Namibia cominciato dalla Farabbi nel 1993), ma scandaglia la fisicità del supporto cartaceo sposando arte verbale e arte manuale, sacrificio del “dire” e fatica del “fare”.
In tal senso, la rivelazione del secondo componimento della raccolta, Passaporto filiale per il passaggio, è illuminante:

Mi siedo sul sasso sotto il peso finalmente mi siedo
e finalmente i miei piedi passeggeri fermi
coincidono
nel senso del mio rinnovato cominciamento
dentro queste viscere materne e sorgive.

Ma, se la maternità riassume la natura femminile della collana, solo un rinnovato cominciamento può guidare due donne come Anna Maria Farabbi e Francesca Rizzuto nel lavorìo della forma, nell’architettura spaziale del sapere.
Tanto che gli intenti di poetessa e artista viaggiano sì paralleli, ma snodandosi in modalità essenzialmente complementari: gli ininterrotti riti di passaggio che si sperimentano leggendo i versi, i pregnanti affondamenti nel grembo della terra, o ancora, la narrazione / di una carne geografica (poesia n. VIII) che scandisce la fruizione del canto, sono tutti riflessi dell’affascinante genio creatore di chi ne accoglie, come in uno scrigno ancestrale, le molteplici significazioni umane.
Concedersi, in fondo, resta l’unico valido spiraglio. Concedersi non barattarsi, avere la forza di annullarsi per riemergere nell’anima di qualcun altro in grado di comprendere ed apprezzare i nostri intenti, la nostra incontenibile generosità. Questo sembra essere, infine, il messaggio di questo primo germoglio editoriale nel promettente “Roseto di Kisgas”.


Pierino Gallo

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